«Il mio stile? Una fotografia sporca»

(Lire ci-dessous la version en français de l’article).

Stefania Beretta, nata nel 1957, predilige l’apparecchio analogico Holga, una fotocamera di bassa qualità tecnica prodotta a Hong Kong per film formato 120 (circa 61 millimetri). Pensata per la classe operaia cinese, grazie al costo bassissimo, i suoi limiti tecnici l’hanno resa una macchina fotografica particolare, amata da alcuni professionisti per gli effetti di sfocatura e dispersione della luce. Stefania Beretta non ritocca le foto al computer. Le stampa su carta analogica, digitale, canvas e poi le passa alla macchina da cucire. Ha beneficiato di borse di studio e ha esposto le sue opere in Svizzera e all’estero. Alcune sue immagini fanno ora parte della collezione della biblioteca nazionale di Parigi. Vive e lavora a Verscio, nel canton Ticino. Fino al 24 dicembre 2020 espone « Paesaggi improbabili – Religamen » alla Galleria Cons Arc di Chiasso.

Matteo Cheda: Perché è diventata fotografa?
Stefania Beretta: Dopo la scuola obbligatoria volevo diventare architetta oppure maestra di ginnastica. Ma a scuola non ero molto forte e mi hanno sconsigliato di proseguire gli studi. Una mia cara amica, per aiutarmi, mi ha elencato una serie di professioni che avrei potuto svolgere. Arrivata a « fotografa », le ho chiesto: ma esiste davvero questa professione? Così ho iniziato un apprendistato a Bellinzona ed è stato un colpo di fulmine. 

M. C.: Chi è stato il suo maestro di apprendistato?
S. B.: Mario Bernasconi. Aveva uno studio classico. Faceva foto per passaporti e matrimoni, cose del genere. 

M. C.: Cosa ha imparato da lui?
S. B.: Mi ha subito messo sul campo. Ho imparato le cose pratiche. Maneggiavo la camera oscura, il banco ottico. Ho fatto la gavetta. Terminato l’apprendistato, ho seguito diversi seminari tra l’Italia e la Svizzera. Mi sono specializzata in fotografia d’architettura e oggetti d’arte. 

M. C.: Come descriverebbe il suo stile oggi?
S. B.: Il mio stile è una fotografia sporca. Non una fotografia virtuosa. Ho lavorato sulle mie immagini con la matita grassa, col collage. Sono arrivata a bruciare parzialmente dei negativi con gli acidi quando ho fatto il grande lavoro « In Memoriam » sui boschi bruciati, esposto al Museo cantonale d’arte di Lugano. Volevo dare la sensazione di fumo, di bruciato. 
Dopo questo percorso, mi sono messa a cucire sulle foto. Alcune cuciture, sia quelle geometriche sia quelle più impazzite, le vedo già sull’immagine e le inserisco direttamente sulla foto con la macchina da cucire. Quando invece ho qualche esitazione, appoggio una velina e disegno prima delle linee per capire come voglio elaborare l’immagine. 

M. C.: Se confronta le sue prime foto con quelle attuali, qual è stata l’evoluzione del suo stile?
S. B.: Le immagini di oggi sono sempre due. C’è l’immagine fotografica e c’è il cucito. Abbiamo quindi una doppia lettura, quasi tridimensionale. Però il paesaggio è sempre come lo descrivo fotograficamente. Sfocato, a fuoco, un po’ sporco. Pur avendo studiato il sistema zonale, l’ho abbandonato. L’immagine che rimane dev’essere quasi di strada.

M. C.: Nelle immagini esposte a Chiasso ho visto contemporaneamente malinconia e speranza. Di solito, da cosa parte?
S. B.: Sono empatica. C’è sempre qualcosa dietro l’immagine che mi porta sul luogo.

M. C.: Come entra in relazione con il luogo? Con il soggetto?
S. B.: In genere lo studio prima. Per esempio, alcune immagini scattate in India mostrano l’acqua, gli allagamenti. Mi aveva colpito molto il libro « Il dio delle piccole cose » di Arundhati Roy, in cui si parla di contadini sfollati per costruire dighe e allagare i campi. Siccome vado in India tutti gli anni, ho deciso di fare un viaggio nei luoghi in cui è ambientato il libro, quindi al di fuori degli itinerari turistici tradizionali. Le fotografie che ho scattato allora mi sono servite per la mostra di oggi.

M. C.: Dalle foto esposte, deduco che l’acqua è il suo soggetto preferito.
S. B.: Faccio omaggio a due elementi della natura: l’albero e l’acqua. La mostra parte da Monaco di Baviera, dove ho esposto sia gli alberi che l’acqua. A Chiasso solo le foto con l’acqua. A Genova ci sarà una mostra più completa perché c’è più spazio. I fili del cucito sono il legame che si crea tra i diversi soggetti. Il legame da un lato è fisico. Ma c’è anche un legame più elevato. 

M. C.: Qual è la qualità che preferisce come fotografa?
S. B.: Non parlerei di qualità, ma di un’espressione della comunicazione. Un qualcosa che dev’essere più sentito. Se la qualità diventa troppo precisa, troppo estetica, la foto manca di comunicazione, manca di empatia.

M. C.: La sua specialità?
S. B.: Non c’è. Le mie sono scelte del momento.

M. C.: Cosa significa per lei, nel profondo, la fotografia?
S. B.: È stato un mezzo per esprimere qualcosa che mi piaceva. Da ragazza mi piaceva l’architettura. Grazie alla fotografia ho lavorato con molti architetti.

M. C.: Per questo inserisce nell’acqua le figure geometriche?
S. B.: Probabilmente.

M. C.: Cosa distingue la foto eccezionale dalla media?
S. B.: La foto eccezionale è quando mi rapisce.

M. C.: A quali fotografi si ispira attualmente?
S. B.: Ho amato molto Robert Frank.

M. C.: Ci sono eventi particolari che hanno influenzato il suo lavoro?
S. B.: Anni fa ho pubblicato un libro sui rifiuti, uno sui boschi bruciati e uno molto intimo sull’omosessualità. 

M. C.: Qual è la cosa più difficile di questo mestiere?
S. B.: Riuscire ad essere se stessi. A non lasciarsi condizionare troppo dai grandi fotografi, dalla moda, dal digitale, dal fare tutto iper a fuoco, tutto iper a colori. Diventa tutto così asettico. Guardi la foto, dici « bella! » e passi via.

M. C.: E la cosa più bella?
S. B.: A me piace il momento in cui cucio sulle fotografie. Magari passo ore in silenzio a cucire. Con l’avvento del digitale avevo un po’ perso questa manualità sulla fotografia. La camera oscura oggi non è più necessaria, ma io continuo a usarla. Sono una delle poche. 

M. C.: Tra le fotografie esposte, qual è la sua preferita?
S. B.: Ce ne sono diverse. Se devo sceglierne una, direi quella col mare e il cucito che sembra una barca. 

M. C.: Qual è il suo prossimo obiettivo?
S. B.: Non so se dirlo. È una cosa grossa. È un bel progetto… Per il momento, preferisco non parlarne. 

M. C.: Cosa consiglia a una ragazza che vuole diventare fotografa?
S. B.: Ho fatto delle conferenze nelle scuole. Anche nelle università. Ai giovani dico di non farvi condizionare troppo dalla ragione. Fate quello che vi piace. Quello è il segnale. 

«Mon style ? Une photographie sale»

Par Matteo Cheda, journaliste
12 novembre 2020

Stefania Beretta, née en 1957, préfère la caméra analogique Holga, une caméra technique de basse qualité produite à Hong Kong pour des films au format 120 (environ 61 mm). Conçu pour la classe ouvrière chinoise, grâce à son très faible coût, ses limites techniques en ont fait un appareil photo particulier, apprécié de certains professionnels pour ses effets de flou et de diffusion de la lumière. Stefania Beretta ne retouche pas les photos sur l’ordinateur. Elle les imprime sur du papier analogique, numérique, sur toile, puis les passe à la machine à coudre. Elle a bénéficié de bourses et a exposé ses œuvres en Suisse et à l’étranger. Certaines de ses images font désormais partie de la collection de la Bibliothèque Nationale de Paris. Elle vit et travaille à Verscio, dans le canton du Tessin. Jusqu’au 24 décembre 2020, elle expose «Paysages improbables – Religamen» à la Galerie Cons Arc à Chiasso.

Matteo Cheda: Pourquoi êtes-vous devenue photographe?
Stefania Beretta: Après l’école obligatoire, je voulais devenir architecte ou professeur de sport. Mais à l’école, je n’étais pas très forte et ils m’ont conseillé de ne pas poursuivre mes études. Pour m’aider, une amie très chère m’a énuméré une série de professions que j’aurais pu exercer. Quand elle est arrivée à «photographe», je lui ai demandé: ce métier existe-t-il vraiment? J’ai donc commencé un apprentissage à Bellinzona et ce fut un coup de foudre.

M. C.: Qui était votre professeur d’apprentissage?
S. B.: Mario Bernasconi. Il faisait des photos pour les passeports et les mariages, des choses comme ça.

M. C.: Qu’avez-vous appris de lui?
S. B.: Il m’a tout de suite mise sur le terrain. J’ai appris les choses pratiques. Je me suis occupée de la chambre noire, du banc optique. J’ai commencé par le début, les tâches les plus simples et les plus humbles. Après mon apprentissage, j’ai participé à plusieurs séminaires entre l’Italie et la Suisse. Je me suis spécialisée dans la photographie d’architecture et d’objets d’art.

M. C.: Comment décririez-vous votre style aujourd’hui?
S. B.: Mon style est une photographie sale. Ce n’est pas une photographie virtuose. J’ai travaillé mes images au gros crayon, au collage. J’ai partiellement brûlé quelques négatifs avec des acides lorsque j’ai fait le grand travail «In Memoriam» sur des bois brûlés, exposé au Musée cantonal d’art de Lugano. Je voulais donner la sensation de fumée, de brûlure.
Après cela, j’ai commencé à coudre sur les photos. Certaines coutures, parfois géométriques et parfois plus folles, je les vois déjà sur l’image et je les mets directement sur la photo avec la machine à coudre. Quand j’ai une hésitation, j’utilise un papier de soie et je dessine avant les lignes pour comprendre comment je veux traiter l’image.

M. C.: Si vous comparez vos premières photos avec les photos actuelles, quelle a été l’évolution de votre style?
S. B.: Il y a toujours deux images aujourd’hui. Il y a l’image photographique et il y a la couture. Nous avons donc une double lecture, presque tridimensionnelle. Mais le paysage est toujours tel que je le décris photographiquement. Flou, concentré, un peu sale. Même si j’ai étudié le système zonal, je l’ai abandonné. L’image qui reste doit être presque provenir de la rue.

M. C.: Dans les images exposées à Chiasso, j’ai vu à la fois de la mélancolie et de l’espoir. De quoi partez-vous habituellement?
S. B.: Je suis empathique. Il y a toujours quelque chose derrière l’image qui m’amène à cet endroit.

M. C.: Quel est le rapport avec le lieu? Avec le sujet?
S. B.: Généralement, je l’étudie avant. Par exemple, certaines photos prises en Inde montrent de l’eau, des inondations. J’ai été très impressionnée par le livre d’Arundhati Roy, «Le Dieu des petites choses», dans lequel il parle des agriculteurs déplacés pour construire des barrages et inonder les champs. Comme je vais en Inde chaque année, j’ai décidé de faire un voyage dans les lieux où se déroule le livre, donc en dehors des itinéraires touristiques traditionnels. Les photographies que j’ai prises à l’époque ont été utilisées pour l’exposition d’aujourd’hui.

M. C.: D’après les photos exposées, j’en déduis que l’eau est votre sujet de prédilection.
S. B.: Je rends hommage à deux éléments de la nature: l’arbre et l’eau. L’exposition commence à Munich, où j’ai exposé à la fois des arbres et de l’eau. A Chiasso, seules les photos avec de l’eau. À Gênes, l’exposition sera plus complète car il y a plus d’espace. Les fils à coudre sont le lien qui se crée entre les différents sujets. Le lien d’un côté est physique. Mais il y a aussi un lien plus fort.

M. C.: Quelle est la qualité que vous préférez en tant que photographe?
S. B.: Je ne parlerais pas de qualité, mais d’une expression de la communication. Quelque chose qui doit être plus ressenti. Si la qualité devient trop précise, trop esthétique, la photo manque de communication, manque d’empathie.

M. C.: Votre spécialité ?
S. B.: Il n’y en a pas. La mienne c’est le choix du moment.

M. C.: Que signifie la photographie pour vous au fond ?
S. B.: C’était un moyen d’exprimer quelque chose que j’aimais. Quand j’étais petite, j’aimais l’architecture. Grâce à la photographie, j’ai travaillé avec de nombreux architectes.

M. C.: C’est pour cela que vous avez mis des figures géométriques dans l’eau?
S. B.: Probablement.

M. C.: Qu’est-ce qui distingue la photo exceptionnelle de la moyenne?
S. B.: La photo exceptionnelle, c’est quand elle me captive.

M. C.: Par quels photographes êtes-vous actuellement inspirée?
S. B.: J’aime beaucoup Robert Frank.

M. C.: Y a-t-il des événements particuliers qui ont influencé votre travail?

S. B.: Il y a des années, j’ai publié un livre sur les ordures, un sur les bois brûlés et un autre très intime sur l’homosexualité.

M. C.: Qu’est-ce qui est le plus difficile dans ce métier?

S. B.: Être capable d’être soi-même. Ne pas se laisser trop influencer par les grands photographes, la mode, le numérique, faire tout hyper en focus, tout hyper en couleur. Tout devient si aseptisé. Vous regardez la photo, vous dites «magnifique!» et vous vous éloignez.

M. C.: Et la plus belle chose?

S. B.: J’aime le moment où je couds sur les images. Je passe peut-être des heures à coudre en silence. Avec l’avènement du numérique, j’avais en quelque sorte perdu cette compétence manuelle en photographie. La chambre noire n’est plus nécessaire aujourd’hui, mais je l’utilise toujours. Je suis l’une des rares.

M. C.: Parmi les photographies exposées, quelle est votre préférée?

S. B.: Il y en a plusieurs. Si je dois en choisir une, je dirais celle avec la mer et la couture qui ressemble à un bateau.

M. C.: Quel est votre prochain objectif?

S. B.: Je ne sais pas si je dois le dire. C’est une grosse affaire. C’est un grand projet… Pour l’instant, je préfère ne pas en parler.

M. C.: Que recommandez-vous à une fille qui veut devenir photographe?

S. B.: J’ai fait des conférences dans les écoles. Egalement dans les universités. Je dis aux jeunes de ne pas être trop influencés par la raison. Faites ce que vous voulez. C’est cela le message.

Stefania Beretta, «Paesaggi improbabili – Religamen»

Consarc / Galleria, Chiasso
Fino al 24 dicembre 2020

Orari di apertura
Me – Ve 10-12 / 15-18
Su appuntamento
Chiuso Do, L, Ma e Festivi
Entrata libera

Catalogo

Stefania Beretta, «Paesaggi improbabili – Religamen» (italiano, inglese)
Arti Grafiche Salin – Italia
EUR 20.-

Stefania Beretta

Stefania Beretta, «Paysages improbables – Religamen»

Consarc / Galleria, Chiasso
Jusqu’au 24 décembre 2020

Heures d’ouverture
Me – Ve 10-12h / 15-18h
Sur rendez-vous
Fermé Di, Lu, Ma et jours fériés
Entrée libre

Catalogue

Stefania Beretta, «Paesaggi improbabili – Religamen» (italien, anglais)
Arti Grafiche Salin – Italie
EUR 20.-

Stefania Beretta


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